L’art. 90 del Decreto Rilancio (qui lo speciale QuiFinanza) precisa che, per l’intero periodo dell’emergenza Covid-19, i datori di lavoro del settore privato dovranno comunicare al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità smart working.
Il Decreto prevede peraltro che, fino al 31 luglio, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio a carico minore di 14 anni, hanno diritto al lavoro agile, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione e che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, nei casi di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, o che non vi sia un genitore non lavoratore.
Per i datori di lavoro pubblici e privati, la modalità di lavoro agile potrà essere applicata a ogni rapporto di lavoro subordinato fino alla cessazione dello stato di emergenza e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020.
Con il Covid diritto allo smart working. E dopo?
Per molti lavoratori, insomma, con l’emergenza Covid-19 il lavoro agile, prima modalità relativamente poco diffusa nel nostro Paese, è diventato un diritto. Ma cosa avverrà a emergenza finita? Molte aziende si stanno interrogando su come cambierà il mondo del lavoro dopo il Covid, e alcuni “giganti” del web hanno già annunciato la loro decisione di continuare con lo smart working anche nel post-crisi: tra questi, ci sono Twitter e Facebook.
Smart working e Pubblica Amministrazione
Intanto, i protocolli sanitari e i documenti tecnici Inail continuano a raccomandare il ricorso allo smart working, che consente, naturalmente, di evitare o ridurre i rischi di diffusione del contagio sui luoghi di lavoro. “L’obiettivo primario del lavoro agile nell’immediato futuro è quello di migliorare l’organizzazione dell’amministrazione pubblica, al fine di raggiungere il punto di equilibrio tra la maggiore efficienza dei servizi resi alla collettività ed il benessere organizzativo interno, che, come già rilevato, può contribuire a maggiori risparmi da parte delle amministrazioni e ad una migliore sostenibilità in termini di impatto ambientale”, ha sottolineato a questo proposito la ministra della Pa, Fabiana Dadone.
Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, insomma, la Ministra intende “incrementare il ricorso al lavoro agile non solo aumentando la percentuale minima del personale”, che a norma vigente è pari al 10%, “ma soprattutto prevedendo che ciascuna amministrazione, individuate le attività c.d. smartabili, attivi la modalità agile ad almeno la metà di esse”. E al fine di raggiungere questo obiettivo, Dadone ha aggiunto di ritenere “altrettanto cruciale una formazione adeguata sia dei dirigenti che del personale non dirigenziale, e la verifica periodica della prestazione dei lavoratori in smart working, nel rispetto dei parametri temporali e del diritto alla disconnessione, onde scongiurare i rischi di una disponibilità illimitata”.
Il post-crisi per le aziende
Oltre alla Pubblica Amministrazione, nel post-Covid si aprirà l’opportunità anche per diverse aziende di ripensare i propri modelli organizzativi, ed adottare un approccio “misto”, sulla base delle esigenze dell’azienda e del lavoratore stesso. La legge sul lavoro agile (81/2017), incardinata sull’accordo individuale, permette già situazioni di flessibilità e di adattamento alle specifiche situazioni. In questo senso, lo smart working “semplificato” sperimentato durante la pandemia potrà funzionare da test per elaborare nuovi modelli in futuro.
Necessaria per raggiungere l’obiettivo sarà la predisposizione di una policy adeguata che regolamenti l’uso degli strumenti informatici e le modalità di controllo a distanza. Sarà importante anche individuare un codice disciplinare che regoli le condotte sanzionatili in smart working.
Le richieste della Cgil
Secondo Maurizio Landini, segretario della Cgil, nei nuovi contratti “vanno affrontate tutte le questioni e i problemi che sono emersi sull’applicazione dello smart working, dalla formazione al diritto di disconnessione”. Per il leader della Cgil, insomma, bisogna “prevedere pause, fare distinzioni tra lavorare il giorno e la notte, di sabato e festivi, sui mezzi da utilizzare, evitare le discriminazioni di genere: bisogna allargare la contrattazione e fare in modo che tutte le modalità di lavoro, compreso lo smart working, siano regolamentate”.
Come il Covid ha rivoluzionato il mondo del lavoro
Secondo i dati dell’indagine sullo smart working promossa dalla Cgil e dalla Fondazione Di Vittorio, sono stati 8 milioni gli italiani che, a causa del lockdown, hanno lavorato da casa in questi mesi. Prima della pandemia, erano circa 500mila. Una modalità che, peraltro, gli italiani dimostrano di apprezzare: secondo l’indagine, il 60% degli intervistati vorrebbe proseguire l’esperienza una volta terminata l’emergenza, mentre il 20% non vorrebbe continuare a lavorare in questa modalità. Per il 37%, il lavoro a distanza è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro, mentre per il 36% è stato deciso in modo unilaterale dal datore di lavoro; il 27%, invece, lo ha negoziato attraverso l’intervento del sindacato.
I dati mettono in luce anche, la necessità di acquisire competenze specifiche richieste per il lavoro agile: se infatti nella gran parte dei casi queste skills erano già sviluppate, in altri casi mancavano. Per quanto riguarda l’uso di strumenti e tecnologie informatiche, ad esempio, il 69% le possedeva già, ma il 31% non ne era in possesso.
Rilevate anche delle criticità: nel lavorare da casa si presta poca o nessuna attenzione al diritto alla disconnessione (56%), e a dal controllo a distanza (55%). Si presta invece abbastanza o molta attenzione al ricircolo d’aria (85%), alla tutela della privacy (73%), alla correttezza della postazione di lavoro (66%), alle pause di lavoro (54%).
fonte: quifinanza.it
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